Ci sono varie ragioni, oltre al desiderio di equità e meritocrazia, che dovrebbero spingere le organizzazioni a supportare la leadership femminile:
Le due iniziative sono sinergiche, non contrapposte. Le iniziative volte a rendere inclusiva un’organizzazione, partendo dalla sensibilizzazione dei leader, hanno obiettivi più ampi (includere tutti vuol dire creare un ambiente aperto e ricettivo verso chiunque, non solo verso le donne).
Se un’organizzazione però ritiene che il proprio principale problema (e la propria principale opportunità) sia l’inclusione di genere (in Italia spesso è così), è utile avere un’iniziativa specifica che lo affronti perché bisogna accelerare i tempi come solo le iniziative focalizzate permettono di fare.
Quote che allochino percentuali a gruppi specifici possono creare contrapposizioni, resistenze e anche ingiustizie (sono di fatto una misura distorsiva, seppure con l’intento di correggere una distorsione opposta). Le quote aspirazionali (“vorremmo avere almeno il 30% di donne nella leadership entro 2 anni”) sono meno controverse perché non creano automatismi, ma danno una direzione precisa. Se poi queste vengono comunicate correttamente e contemporaneamente si educa la popolazione aziendale sui pregiudizi inconsci e sull’inclusione, allora il rischio di contrapposizioni dannose è contenuto.
L’esperienza fatta in molti paesi dimostra che, per un periodo limitato, sono utili a incoraggiare le donne. Le donne infatti reagiscono cercando di essere all’altezza e non adagiandosi sugli allori.