Le organizzazioni sono come la Oak School?
Le aspettative che abbiamo nei confronti delle persone influenzano la loro performance in modo subdolo, potente e noto da oltre 50 anni. Eppure, dai tempi lontani (1963) del famoso esperimento condotto alla Oak School dallo studioso di psicologia sociale Rosenthal, siamo riusciti a fare poco per controllare gli aspetti negativi fenomeno, nelle scuole, nelle famiglie e nelle organizzazioni.
L’esperimento alla Oak School. Rosenthal somministrò ad alcuni alunni, della scuola elementare Oak un test di intelligenza e promise di comunicare i risultati agli insegnanti. Poi selezionò, in modo casuale (senza tenere conto dell’esito del test) un gruppo pari al 20% dei bambini e disse agli insegnanti che, sulla base del test, quelli erano i bambini più intelligenti. Lo scopo era capire se le aspettative degli insegnanti nei confronti degli alunni avessero una influenza sullo sviluppo cognitivo di questi. Quando ripassò nella scuola dopo un anno, i bambini appartenenti al gruppo dei “Più intelligenti”, seppur scelti casualmente, avevano confermato le previsioni ed erano diventati i migliori della classe. In breve, i bambini della categoria “più intelligenti” captavano, senza saperlo, segnali di interesse e approvazione che gli insegnanti stavano dando loro in modo inconsapevole e si comportavano di conseguenza. La profezia, pur priva di qualsiasi fondamento, si era avverata, senza che nessuno degli attori si rendesse conto di ciò che stava avvenendo. L’effetto Rosenthal, cioè il fenomeno per cui le persone tendono a conformarsi inconsapevolmente all’immagine che altri hanno di loro, è stato confermato da tutti gli esperimenti degli ultimi 50 anni in contesti molto differenti, tra cui quelli organizzativi.
Veniamo alle organizzazioni. Quello che è avvenuto alla Oak School ha inquietanti somiglianze con quello che avviene nelle nostre organizzazioni, solo che nel nostro caso non è un team di psicologi che ci trae in inganno, ma i nostri stessi pregiudizi, in particolare quelli inconsci. Spesso sottovalutiamo il danno che i pregiudizi possono fare anche in maniera indiretta, cioè quando, senza saperlo, le nostre aspettative traspaiono e vengono captate da chi ci circonda. Se per esempio un manager ritiene che le donne, per quanto valide professionalmente, siano meno propense a sacrificarsi per la carriera degli uomini o che abbiano meno capacità di prendere decisioni organizzative “dure ma necessarie”, non c’è bisogno che lo comunichi apertamente alle interessate (peraltro, a volte avviene anche questo, ma transeat). Purtroppo, bastano le aspettative trasmesse con il linguaggio non-verbale e para-verbale, che sono difficilissimi da controllare (es. occhi impercettibilmente rivolti al cielo, micro-sorrisini o micro-segnali di impazienza o disappunto o perplessità, tono lievemente compiacente o infastidito). Se qualcuno ritiene che un gruppo di persone sia più adatto di altri a prendere le redini di un’organizzazione (es. uomini meglio delle donne, adulti giovani meglio di adulti maturi, ecc.) tratterà i gruppi privilegiati come i bambini etichettati “più intelligenti degli altri” alla Rosenthal School, creando per gli altri uno svantaggio relativo. In poco tempo, le aspettative possono trasformarsi in realtà e rafforzare le nostre convinzioni di partenza (anche se erano sbagliate).
Cosa possono fare i gruppi con etichette meno positive o negative. La prima cosa è corazzarsi. Bisogna capire che le aspettative altrui possono essere infondate e non farsi condizionare troppo. Questo è particolarmente difficile all’inizio della carriera, ma non è mai facile. Un suggerimento è di “prendere l’antidoto“, cioè trovare persone (per esempio mentori, colleghi, ecc.) che credono in noi e ci incoraggiano. Avanzare nelle organizzazioni senza la carica delle aspettative positive è molto difficile, quindi è fondamentale avere figure di supporto se i nostri capi non svolgono quel ruolo.
Cosa possiamo fare tutti. 1) Sapere che abbiamo pregiudizi inconsci e quindi dobbiamo essere vigili, misurare le parole e il linguaggio del corpo. 2) Usare positivamente l’effetto Rosenthal. Dopo un anno, i bambini trattati da “più intelligenti” lo erano diventati davvero. Funziona. 3) se siamo coordinatori o capi, coltiviamo aspettative positive ed elevate in tutte le persone anche perché, come ha dimostrato James Sweeney, le aspettative positive sono funzione di ciò che pensiamo degli altri, ma anche di ciò che pensiamo della nostra capacità di farli apprendere e sviluppare.