Donne cattive che violano lo stereotipo femminile
Come sapete, Donald Trump ha definito Hillary Clinton, sua rivale nella corsa alla presidenza degli Stati Uniti, una “nasty woman“, cioè una donna cattiva.
Come sempre, dipende dai criteri che si usano per dividere i buoni dai cattivi. Che Hillary sia una donna che si rifiuta di fare la donna, è vero. Che respinga gli stereotipi di genere, è noto: anche quando era first lady si fece assegnare un incarico rilevantissimo come la riforma sanitaria. Insomma, se una donna è buona quando sta al suo posto, non compete con gli uomini e ricopre ruoli ancillari, ok, allora Hillary non è buona.
Questo episodio conferma quello che sapevamo già: le donne che violano lo stereotipo femminile vengono sanzionate perché gli stereotipi hanno anche una valenza prescrittiva (non solo descrittiva) e discostarsene è una forma di devianza sociale. The Donald e i suoi seguaci criticano Hillary in maniera palese e aggressiva, altri lo fanno inconsapevolmente e in maniera passiva-aggressiva, limitandosi a dichiarare che Hillary “non convince” (ndr ma perché quando le donne saltano si alza sempre l’asticella?). Potrebbero essere addirittura più pericolosi i secondi dei primi (non mi riferisco al voto), certamente sono più insidiosi perché i pregiudizi, quando sono inconsci, sono come virus mutati per diventare resistenti ai tentativi di debellarli.
Le elezioni presidenziali USA 2016 hanno chiarito, se ce ne fosse stato bisogno, che la leadership femminile può essere percepita come una minaccia o un elemento di destabilizzazione della società e che suscita ancora forti resistenze, alcune delle quali noi stessi fatichiamo a capire.